5 cose che ho imparato in viaggio
La scorsa estate ho avuto la fortuna di visitare Bali.
Avevo letto tanto di quest’isola. Della sua essenza e della sua energia. In realtà Bali ha due grandi anime; che attirano due diverse frange di turisti.
Bali è caos, traffico, smog, rumori; musica techno sparata di notte tra le strette strade di Kuta. Bali è hotel a svariati piani. Bali è carovane di surfisti che si esibiscono chiassosi tra le onde.
Poi, Bali è Bali. La sua natura. Le sue risaie immerse nelle valle di Ubud. La sua energia che non si spiega. I suoi templi con la loro storia. Il suo popolo con i suoi sorrisi. Le sue onde solitarie ma imponenti. Bali, è davvero magnetica; per chi riesce a staccarsi da quella parte svenduta al turismo, e ad allontanarsi. Vivendosi il cuore di quest’isola piena di contrasti.

Uluwatu – Paradiso per surfisti
Così, in due settimane trascorse su quest’isola, e un bel po’ di ore in spostamenti, mi è capitato spesso di sentire. Un luogo che mi ha portato spesso a scrivere. A scrivere di me, in quest’isola.
Poi, con i miei soliti tempi, sono riuscito a rimettere a posto i miei scritti, e a dare forma a questo post.
“Scrivere in viaggio riesce sempre a farmi entrare in completo contatto con i luoghi che incontro. Sono ad Ubud, nel centro di Bali, fuori la mia stanza; immersa in un piccolo e “lontano” giardino di palme e fiori tropicali. E qui inizia il racconto di questa avventura. Ubud si raggiunge in poco più di un’ora dalla parte sud dell’isola; quella più comunemente visitata e battuta. Quella dove si atterra per chi a Bali ci arriva in aereo. Ubud, un piccolo centro nato nel bel mezzo della vegetazione pluviale di Bali e ritrovo di centri per pratiche yoga e benessere. Sono qui da ieri sera, dopo aver trascorso ad Uluwatu la mia prima notte in Indonesia.

Ubud – il cuore di Bali
Dicevo, in viaggio mi piace ascoltare i luoghi; e praticando l’ascolto dei luoghi, spesso mi viene naturale ascoltarmi. Soprattutto in luoghi come questo.
Mentre scrivo, ripenso ad un regalo che mi fu fatto dai miei genitori; chi lo sa perché scelsero quel regalo. Un atlante geografico. Con quel regalo credo di aver iniziato a viaggiare. Avevo 8 anni. Era il 1990, l’anno dei mondiali di Totò Schillaci e Roberto Baggio. Forse, senza volerlo, i miei genitori quel 24 Maggio mi regalarono “il mondo”. E io iniziai a scoprirlo. Mi piace pensare che sia iniziato così il mio viaggio; con loro. Una forma che ha poi trovato i suoi connotati molti anni dopo; e che oggi continua. Che mi porta sempre a raccontare anche a loro i posti in cui mi trovo. Una foto, un pensiero; un grazie per avermi insegnato la curiosità. La curiosità di scoprire ciò che mi suscita piacere.
Questa sera, da quaggiù, adesso, sento un forte desiderio di mandare a loro questo grazie. Grazie per avermi dato la possibilità di vedere e di godere il “bello” della vita. Grazie per avermi lasciato la libertà di scegliere il mio “bello”. Per avermi insegnato la ricchezza della semplicità. E poi…grazie. Per avermi dato la possibilità di sfogliare quell’atlante. Questo atlante.

I miei giorni ad Ubud
Sono da poche ore a Lovina, nel nord di quest’isola. Rifletto su come, oggi, a trentasei anni, la mia visione del viaggio sia molto cambiata rispetto a quella di dieci o quindici anni fa. Di fondo c’è sempre stata questa voglia di ricerca; ma a un certo punto di questa avventura, il viaggio si è trasformato da momento di evasione e necessità di distacco, ad ascolto. Sebbene un “retrogusto” di distacco, in certi viaggi legati a certi momenti, ancora mi accompagna in alcune partenze. Ascolto; ascolto di cosa il viaggio ha iniziato a trasmettermi. Ascolto; consapevolezza di cosa questo trasmettermi, mi ha insegnato. Ecco, se adesso dovessi raccontare quelli che ad oggi ritengo i principali insegnamenti del viaggio, racconterei questo.

Venditore di spezie – In viaggio verso Lovina
Viaggiare mi ha insegnato a modulare. A rimodulare. Percepire quanto ogni prospettiva sia sempre, o quasi, soggettiva. E filtrata dal nostro punto di vista. Ci pensavo oggi; viaggiando. In alcuni miei viaggi per fare cento chilometri impiego tre, quattro, cinque ore; o magari raggiungo luoghi lontani per cui mi ritrovo a volare per svariate ore. Ecco, in quel tempo, ho imparato il piacere del poter avere tre, quattro, cinque, dieci ore consecutive completamente libere. Fateci caso…quante volte nella nostra quotidianità questa cosa accade? In quelle ore mi trovo spesso a poter godere di questa cosa. Ho il tempo per memorizzare scene fuori da quel finestrino. Ho il tempo per dormire se ne ho voglia. Tempo per rallentare. Tempo per scrivere o rivedere scatti di momenti in viaggio che resteranno per sempre. Tempo per poter apprezzare il semplice piacere di avere tempo. Un po’ di anni fa avrei percepito quelle ore infinite. E interminabili. Rimodulare. Oggi, mentre mi spostavo in bus nel nord di Bali, guardavo questa foto. Scattata nel centro dell’isola. Un luogo che mi ha catturato e che spero di poter presto ritrovare.

Incontri – In viaggio verso Lovina