“…non so esattamente cosa mi abbia portato su questa spiaggia. Non so quali altre spiagge mi aspettano; e affogherei nella noia se, ora, riuscissi a intravedere anche solo un’onda del mio prossimo mare.
Viaggiando ho scoperto qualche pezzetto della mia storia, della mia anima; scene di vite andate. Qualcun altro l’ho lasciato a quei luoghi. Questi luoghi. Qualcun altro ancora mi aspetta sparso nel mondo. Semmai lo troverò. In questa vita. O forse dopo…
Ho incrociato onde. Mari nei quali ho lasciato per un attimo o per sempre la mia scia; mari che porterò per sempre nei miei occhi. Occhi che in qualche modo mi hanno conquistato per sempre. E che continueranno ad accompagnarmi. In un posto finestrino. Su un lento espresso al profumo di ruggine che passeggia sempre verso sud.

In una vita nella quale la forma della dimora imprime i suoi contorni sempre più nella mia anima e sempre meno sulla mia linea fisica, continuo a navigare; in un mondo di gentili sorrisi, che a volte rende un po’ sbiadita la mia voglia di essenziale. Un mondo che ogni tanto mi costringe a rincorrere. Ma che poi ogni volta, svolta; stracciando funi e percorrendo grotte. Trascinandomi senza freni verso l’”essenza” . Quella da cui arrivo.
Quella forma atomica che ogni tanto avrà sempre voglia di perdersi. Di confondere linee e confini. Mischiarle. Di planare ad occhi chiusi e ali “spente”; in scia ad un traghetto senza meta. Sopra onde leggere. Verso orizzonti di tempesta.
…non so esattamente cosa mi abbia portato su questa “spiaggia”. Ma intanto sento questo profumo…”
Febbraio 2019. Un nuovo ritorno.
Mentre volo per una nuova avventura in Marocco, ripercorro le scene della mia prima volta in questa terra. Sembra trascorsa una vita da quando ho scritto quelle parole. Ero su una spiaggia di Taghazout, guardavo il mare. Ero uscito dall’acqua distrutto; durante quella session di surf guardavo la line up e pensavo…chissà se un giorno riuscirò a starci laggiù.
Un pezzo di vita fa, eppure sono passati solo quattro anni e pochi mesi in più. Che poi a pensarci, in quattro anni quanti momenti ci sono; sono quasi 1500 giorni. Anzi, millecinquecento; che scritto a lettere da più la sensazione di quanta vita ci sia in quattro anni! Quello era il mio primo viaggio di surf fuori dall’Europa dopo il mio incontro con Natal. Il mio secondo viaggio in Marocco.
Ritorno in Marocco e mentre volo penso che non avrei mai immaginato di scoprire tanto mondo in questi anni. Non avrei mai immaginato di arrivare a percepire il viaggio come lo percepisco oggi; non avrei mai immaginato di staccarmi dall’idea di viaggio come sola vacanza. Il viaggio come ritorno al valore dell’esplorazione. Come opportunità di osservarmi fuori dal mio habitat. Il viaggio come opportunità di distacco rispetto a una routine che troppo spesso rischia di allontanarci da noi stessi; fino, a volte, a farci dimenticare della nostra reale essenza. O comunque a mantenerci distanti.
Sì, fino a un po’ di anni fa, il viaggio per me era riportare lontano da casa le mie abitudini. Poi è iniziato a diventare, ogni volta un po’ di più, ritorno all’essenziale; e voglia di riportare la mia scoperta nelle mie abitudini. Nella mia routine. Sì, ho spesso ripensato a questa cosa: per quanto ognuno di noi abbia voglia e provi a scoprirsi nel quotidiano, non credo possa mai farlo a pieno se mai sceglierà di confrontarsi col mondo. Se mai sceglierà di osservarsi nel mondo, lontano dal suo mondo. Fuori dal suo confort. Sempre che non scelga consapevolmente di non uscirci.
Ripensando a tutto questo, mentre sono in volo scrivo…”ci sono periodi dell’anno in cui sento forte la voglia di partire. Così inizio il mio viaggio. Il mio viaggio inizia prima ancora di scegliere la meta. Mi ascolto e cerco di portarmi laddove in quel momento dell’anno, avverto di voler andare. Viaggio, quindi, che periodicamente mi porta lontano; ma che poi finisce per ricondurmi a me. E a fare chiarezza su come, la mia routine, possa tenere sulla stessa frequenza il mio quotidiano e la vita che desidero”.
Il viaggio come partenza. Il viaggio come ritorno a noi.
Rileggo quelle parole, adesso, mentre sono nel mio mondo, nel mia routine; e rifletto su quanto, questa concezione del viaggio, mi abbia effettivamente aiutato a trasferire al mio quotidiano una forte direzione; in viaggio, osservandomi e ascoltandomi, ho toccato con più naturalezza e semplicità la mia vera essenza. Quell’essenza che ho poi avuto voglia di provare a portare nel mio quotidiano.
Mi sono scelto una vita che mi porta a stretto contatto con le mie passioni, ma tutto questo è possibile perché ho scelto di avere una vita fatta anche di impegni e scadenze; e qualche pezzo di vita fa non avrei mai immaginato che nelle mie giornate più esigenti, mezz’ora di surf all’alba mi avrebbe dato una carica di energia assurda. Non avrei mai immaginato che la necessità di prendere decisioni e di essere autosufficiente a migliaia di chilometri da casa, mi avrebbe consentito di riportare tutto questo nel mio quotidiano. Nel mio lavoro. Nella mia voglia di trasferire entusiasmo alle persone che ogni giorno portano avanti progetti insieme a me. Nella mia capacità di gestire situazioni e decisioni che sicuramente avrei affrontato con meno lucidità se non avessi spesso portato il mio io fuori dal suo habitat di sempre.
Non avrei mai immaginato che la percezione di quanta reale e oggettiva difficoltà ci sia in tanti luoghi del mondo, mi avrebbe aiutato ad alleggerirmi dalle false difficoltà di questo mondo; e che la consapevolezza dell’essenziale è una ricchezza che può regalare ogni giorno una motivazione incredibile.
Così, mentre racconto tutto questo, mi rendo conto di come questa tendenza piano piano inizi a condurmi anche nel mio quotidiano, all’ascolto. A proiettarmi, in certi momenti, al distacco; quello stato mentale molto frequente in viaggio e che con un po’ di volontà e allenamento, riesco sempre di più a creare naturalmente anche qui. Nelle mie giornate. Portandomi in quella voglia che a volte mi accompagna a staccare ogni forma di contatto tecnologico, a ritornare all’essenziale, e a ridefinire la mia “bilancia”.
Verso sud. Verso questa nuova avventura.

Come spesso mi capita quando sono in volo, viaggio libero nei miei pensieri. Questa volta mi è ritornato davanti agli occhi uno dei regali più belli che i miei genitori mi abbiano mai fatto: un atlante geografico della Zanichelli. Chi mi segue e mi legge, sa bene che quello è stato il mio primo strumento di viaggio. Ecco, ripensando a quell’atlante, mentre volavo verso questa avventura, ho riflettuto su quanto sia potenzialmente dannoso il consueto e tradizionale concetto di “adulto”.
“Sono in volo e rifletto sul fatto che tutti, da piccoli, abbiamo avuto dei sogni. Poi troppo spesso cresciamo con la convinzione che la vita sia una continua salita e rincorsa ad obiettivi; così da adulti ci giustifichiamo dicendoci e imponendoci che i desideri d’infanzia erano semplici sogni, normali per quell’età. A volte abbiamo anche un po’ vergogna a mostrarci vogliosi di dare forma ai nostri sogni, e finiamo per insabbiare tutto questo sotto le nostre consuetudini. E facciamo difficoltà e non avere impegni che ci portino a fare e pensare.
Quel mood che piano piano finisce per avvolgerci e farci diventare qualcosa che le abitudini ci portano a diventare. Dimenticandoci chi e cosa realmente siamo e cosa possiamo realmente regalare a noi stessi e a chi ci circonda. Magari senza un continuo rincorrere, ma semplicemente godendosi il cammino; perché no, con qualche pausa. Momenti in cui godersi la vista che il mondo ci offre. Goderci gli affetti nella nostra quotidianità. Ricordando che ciò che oggi può sembrare scontato, quando un giorno non ci sarà più potrebbe avere molto più valore di quello che, inconsapevolmente, oggi gli stiamo dando”.
Così, mentre ripercorro le parole del mio volo alla scoperta delle terre e delle onde nel West Sahara, rifletto su come avverta con sempre maggiore presenza dentro di me, la convinzione che il peggior luogo dove far stagnare i propri sogni siano i cassetti. Che i pensieri che li annullano finiscono per ammazzare la nostra forza creatrice e la nostra voglia di dare forma alle nostre idee. Quella forza che ogni giorno mi da voglia di creare e trasferire entusiasmo a chi condivide con me il mio quotidiano. Nei miei affetti. Nel mio lavoro, nel mio continuo voler sapere e imparare; nel mio insegnare e trasmettere la passione per il surf e la natura. Insegnare ad inseguire le proprie passioni. Nel mio semplice e continuo fluire con serenità. Non credo esista una ricetta universale per la serenità; più semplicemente, credo esista la ricerca della nostra serenità.
Mentre sto scrivendo è sera, nel mio mondo; in questo momento ho voglia di dedicare queste parole a tutti quelli che vedono il mondo con i miei stessi occhi. C’è una frase che dice “il mondo appartiene a chi ha il coraggio di sognare”. E’ vera. E adesso mi piace calarla in questa accezione: appartenenza che diventa antitesi di proprietà. Il mondo che appartiene a chi sa accettare che la più alta forma di libertà è quella di appartenersi senza proprietà. Libera e fluida intersezione di valori.
Quella fluidità che porta naturalmente a tenerci legati a coloro che condividono o hanno condiviso con noi momenti. Certi momenti. Quella sana fluidità che, allo stesso modo, porta naturalmente a staccarci da chi non ci porta a creare intersezioni. Accettando il fatto che è naturale intrecciarsi in senso stretto solo con pochi. Accettando il fatto che legame non è sinonimo di vicinanza fisica; così come vicinanza fisica a volte può non essere sinonimo di legame. Rieccomi qui, Marocco. Lontano. A raccontarmi ancora di te. Marocco, piccolo pezzo di questo mondo. Luogo di eterne connessioni. Tra terra e oceano.

Marrakech e poi verso sud.
La sensazione di Marocco, quando arrivi in Marocco, la senti tutta. E’ fine Febbraio e all’uscita dall’aeroporto di Marrakech ci accoglie un sole pieno di sole; abbiamo lasciato l’Italia spazzata da gelide raffiche di grecale e temperature prossime allo zero. L’Africa ci accoglie con più di 20 gradi caldi e secchi.
Sono con Ale; compagno di viaggio conosciuto nel 2016 in Tanzania. Il mio rapporto con Ale è la reale testimonianza del fatto che ciò che davvero conta nelle relazioni sono le famose intersezioni di valori. Sì, quante volte mi capita di parlarne. Io e Ale abbiamo direzioni di vita e caratteri molto diversi; ma la nostra intersezioni di valori, è ricca. E’ così che la nostra amicizia dopo il nostro incontro in viaggio insieme è iniziata a convergere. E’ cresciuta; con la consapevolezza che certi elementi, poiché rarissimi, andrebbero sempre tutelati e coltivati. Quando succede questa roba qua viene naturale piacersi. E scegliere naturalmente di tenersi.
Preleviamo la nostra auto e partiamo verso sud. Incontriamo il primo trafficante arabo; ci accosta col suo motorino, qualcosa di assimilabile al nostro Sì anni 80; ci racconta con un italiano quasi perfetto che ha una sorella che, guarda caso, vive a Milano e che vuole accompagnarci fin fuori Marrakech. So bene che non riusciremo a togliercelo di torno; e che se fossimo stati spagnoli la sorella sarebbe vissuta a Madrid. Per 20 Dirham, l’equivalente di circa 2 euro, ci scorta fin fuori la città.
Strisce d’asfalto nel deserto.
Puntiamo dritti verso sud, direzione Tzinit, percorrendo una striscia di asfalto che taglia dritta dritta il deserto e accompagna alla regione del West Sahara. I circa 400km che separano questi due punti del Marocco sono assurdi; si passa dai luoghi più turistici e occidentali, a quelli più autentici e “locali”. La linea di confine culturale è segnata da Agadir, la cui costa è evidentemente regalata in maniera sempre più massiccia al turismo d’occidente. Rispetto alla mia prima volta in Marocco, c’è una quantità assurda di cemento in più lungo tutta la zona circostante la città; e la sensazione di turismo è sempre più evidente. Unica costante, le onde. Sempre stupende, come la prima volta! Superiamo il centro e una ventina di chilometri oltre Agadir comincia un altro Marocco.

Dopo circa cinque ore ci sistemiamo a Mirleft, un borgo di poche case appoggiato su un costone di roccia che affaccia direttamente sull’oceano. Ci balza subito all’occhio che c’è praticamente un minareto per ogni dieci case. Arriviamo al tramonto e subito percepiamo l’energia di questo luogo; sembra quasi che l’oceano glie l’abbia contagiata. Quella sensazione di positiva contaminazione che ultimamente inizio sempre più a percepire intorno a me. Qui, come in tutti i luoghi del Marocco visitati, le sensazioni di tranquillità e accoglienza sono sempre nette. E molto distanti da quelle che avevo fino a prima di venirci per la prima volta e che in qualche modo avevo assimilato da contaminazioni sicuramente sbilanciate verso una visione di mondo molto meno positiva del diverso.
Questa regione del Marocco è davvero lontana. Ma credetemi, se appartenete alla categoria di coloro che vivono e apprezzano il viaggio almeno quanto la meta, questi chilometri vale davvero la pena farseli tutti. E viverseli chilometro dopo chilometro.
Trascorriamo cinque giorni alla scoperta dei chilometri a sud di Mirleft. Questo tratto di costa è un vero paradiso per chi vive il surf un po’ come me e ama gli spazi senza confine. Spiagge e spot uno dopo l’altro. Onde quasi ovunque deserte. Surfisti del luogo disponibilissimi a suggerirti posti e ad accogliere chi viene qui a vivere con rispetto l’essenza vera di questo sport. Conosciamo Nihad. Nihad gestisce un piccolo surf shop da queste parti.

Mi racconta della bellezza di questi posti; di quanto, verso sud, il Marocco diventi sempre più incontaminato. Mi dice delle onde di Dakhla, e che là, quelle onde, arrivano strapiene di acqua. Mi mostra alcune foto di posti incredibili e non riesco a non chiedergli di quale luogo si tratti. Quei posti sono al confine, molto a sud; dove il Marocco si intreccia con la Mauritania. Ci dice di tornare presto da lui e passarlo a prendere; che ci porta là!
Connessioni. Deserto e oceano.
Se dovessi raccontare con un’unica parola questa parte di Marocco, direi “spazi”!! Questo tratto di terra si perde dentro l’oceano. Questo mare non colpisce per la sua bellezza; o comunque la sua bellezza non è paragonabile alla bellezza del Mediterraneo. Io che amo la Sardegna e ho visto il suo mare, difficilmente riuscirò a sorprendermi vedendo mari diversi dal suo. Il mare del Marocco non è sicuramente accostabile al fascino di alcuni paradisi tropicali. Ma qui l’immenso regala un’energia assurda. E’ questo il bello di questa terra.
Quando poco oltre El Aaiun si è aperto davanti a me l’oceano, ho provato una sensazione indecifrabile; un misto tra la voglia di gridare e correre verso il mare e quella di restare fermo per il senso di immenso e l’emozione che ho avvertito in quell’istante.
In questa parte di Marocco avverti netto l’incrocio di due mondi potenti ma contrastanti: oceano e deserto. Sì, distese di terre sconfinate che incontrano distese di mare senza fine. E tu al centro.
Una sera io e Ale eravamo a cena sotto una gola di roccia proprio di fronte all’oceano e mentre andavamo via ci accorgemmo dello spettacolo che avevamo sopra le nostre teste. Ecco, quello credo sia stato il momento di connessione più forte di questa mia avventura in Marocco. Il cielo e una distesa di stelle assurda, come connessione tra due mondi in quel momento assenti dalla nostra vista ma presenti in maniera netta dentro i nostri sensi. Deserto e Oceano, invisibili ma percepibili.
Saluto il Marocco al tramonto, l’ultimo tramonto di questa mia avventura. L’ho fatto mentre ero seduto sulla mia tavola e aspettavo l’ultima onda prima di uscire dall’acqua. In quel momento ho ripensato a quelle parole. In quel momento ho deciso che questo mio racconto sarebbe partito da quelle parole. Sì, perché in quel momento ero proprio là, tra oceano e deserto. Lì in mezzo ho avvertito una sensazione di infinito ovunque intorno a me. Ho avvertito dentro di me un senso di pace grande quanto quell’infinito che mi circondava. In quel momento ho percepito netta quella sensazione di appartenenza al mondo che solo in pochissime circostanze riesco a percepire; quasi come senso scaturito dall’allineamento di energie che solo in certi momenti e in certi luoghi la natura riesce a ancora a trasferire. E l’essere umano a recepire.
E’ tempo di salutare ancora una volta il Marocco; sono con Nihad. Nihad ha un negozietto non più grande di 10 metri quadri; fitta ogni tanto qualche tavola. E sotto quei riccioli, sorride! Nihad la mattina apre con calma perché prima va a prendersi un po’ di onde. Gli dico che mi farebbe davvero piacere se un giorno potessi accoglierlo in Italia; scherzando gli racconto che solo così riuscirà finalmente a surfare un po’ di onde serie. Mi risponde che non è mai uscito dall’Africa. Ma che se un giorno vorrà surfare sul serio, verrà a trovarmi. Ciao Nihad. Grazie!!
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